Le magna charta di chef di Luca Landi: rispetto, rigore, ricette.

Le magna charta di chef di Luca Landi: rispetto, rigore, ricette.

Un uomo ispirato, un sognatore, un viaggiatore romantico: questo è l’affresco che ho avuto modo di tracciare di Luca Landi, chef del ristorante Lunasia a Viareggio. Ma non si tratta solo di poesia e di emozioni. Chef Landi è un tipo molto concreto, conosce il valore ad ogni goccia di sudore profusa per arrivare a ricoprire lo scranno di uno dei ristoranti più apprezzati, non solo della Toscana, ma dell’intero Paese.

Ciao chef e benvenuto sulle pagine di Oraviaggiando. Per iniziare, mi faccio un po’ gli affari tuoi e ti chiedo come hai passato il periodo di quarantena forzata.

Sono stato in casa come ci è stato richiesto, dedicandomi a ciò che nella vita di tutti i giorni non abbiamo modo di curare, la casa e gli affetti familiari. Ho studiato molto: mi sono cimentato nella ricerca di prodotti locali inediti, ho elaborato ricette nuove e mi sono divertito nel ricorrere tante idee da sviluppare nel tempo.

Hai apportato variazioni nel menù e nella tua proposta? Come giudichi ciò che è successo rapportandolo al settore della ristorazione?

Sarà una nuova ripartenza per tutti. I ristoranti “fine dinner” devono ripensare a procedure e rielaborazioni più dirette, cambierà l’offerta ma non l’identità. Sarà un periodo difficile e delicato che si protrarrà fino alla prossima estate, dovremmo impegnarci tutti nel mettere oggi più che mai il cliente al centro del nostro lavoro. 

Cambiamo argomento, rifugiamoci nel passato. Il primo ricordo che hai della cucina.

E’ ben nitido. Le domeniche mattina passate con mia madre in cucina a preparare il pranzo… ero un bimbo che fremeva per aiutare in casa, far da mangiare e preparare (con o senza lei) qualcosa.

Quanto è stato importante l’apporto della tua famiglia in quella che è tutt’oggi il tuo stile in cucina?

La cucina di famiglia, la cucina tradizionale del luogo natio, sono le basi della cucina che esprimiamo. Ritengo che non ci possa essere creatività senza conoscenza. Conoscenza della cucina più tradizionale e conoscenza degli ingredienti che rappresentano la nostra cultura.

Il tuo cibo preferito da piccolo e il piatto che più ti identifica ora.

Quando lavoravo all’estero tornavo a casa poche volte l’anno e a mia madre chiedevo gnocchi di patate al pomodoro e melanzane alla parmigiana… per me un vero cult. Oggi i piatti che mi rappresentano di più sono quelli nei quali riesco ad includere la mia storia, sia personale che professionale. 

Mi pongo l’ordine di coniugare la “cultura territoriale” (attraverso l’utilizzo di erbe spontanee dimenticate o di un prodotto poco conosciuto) a fantasia e tecnica.

La tua offerta, il concept dietro Lunasia. 

Noi vogliamo offrire al cliente non solo ristoro ma anche piacevolezza. Cuciniamo, abbiniamo, rielaboriamo ingredienti della nostra storia. Io credo nella cucina come espressione di gusto, di personalità, di identità geografica, storica e personale. Un mix che ha la pretesa di farci interpretare ogni ingrediente offerto in maniera unica. Non di secondaria importanza è l’accoglienza, che deve riuscire ad esprimersi, oggi più di ieri, con un servizio piacevole, efficiente cercando la massima empatia con il cliente.

I tuoi primi passi lavorativi.

I primissimi sono avvenuti all’interno della Locanda dell’Angelo, da Paracucchi ad Amelia negli anni ’90. Dopo di che, sempre alla ricerca di grandi cucine dove imparare e chef di spessore con i quali formare la mia personalità, sono stato dal Celler de Can Roca (Girona), Mirazur (Mentone), Luis XV (Montecarlo), Comerç24 (Barcellona), Manresa (Los Gatos), Ryugih (Tokio), Enoteca Pinchiorri (Firenze), Alinea (Chicago)…

Tra i tanti maestri incontrati, c’è qualcuno verso il quale ti senti di essere particolarmente in debito? E se sì, per quale motivo?

Serjei Yamamoto che del Ryugin di Tokyo per gli insegnamenti sul gusto. Joan Roca chef del Celler de Can Roca di Girona, per la pacatezza e la visione. Paracucchi Angelo, perché il primo amore non si scorda mai, è lui che mi ha insegnato le basi su cui ho costruito la mia professione.

 “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro” così affermò Umberto Eco. Quanto conta lo studio nella carriera di un cuoco? E nella crescita di un uomo?

Lo studio serve per migliorarsi continuamente. In ogni professione, se c’è la ferrea volontà di migliorarsi, non si può farne a meno. Dietro la volontà di progredire risiede il bisogno di cultura. La letteratura anche in cucina ha immortalato situazioni, contesti, ricette e mode gastronomiche. Ho passato un lungo periodo frequentando la biblioteca Nazionale di Firenze (vicino a Santa Croce), a leggere e studiare libri di cucina, di ingredienti, di costume a tavola, scritti nei secoli scorsi. Sono avido di nozioni sull’evoluzione del nostro cucinato. L’Italia è un paese ricchissimo, con una cultura tanto ampia e profonda nei vari campi, che è impossibile da immagazzinare per intero. Nonostante ciò siamo tenuti ad essere continuamente in fase di apprendimento. Il cuoco professionista oggi è anche colui che conserva e tramanda la cultura gastronomica che gli appartiene, sia dal punto di vista storico, che geografico, che personale. Lo insegna nella sua cucina e ne fa un sunto nelle proprie ricette.

Che consiglio daresti a un giovane ragazzo di belle speranze che intende inseguire e perseguire la ristorazione che definiamo ‘’alta’’?

Le tre “erre”: Rispetto, Rigore, Ricette.

Considerare con rispetto il lavoro molto delicato che facciamo, trattare con rispetto i colleghi che ci affiancano per molte ore al giorno per realizzare quello che facciamo. Rispetto per gli ingredienti che sono patrimonio naturale e che sono limitati e preziosi.

Operare con rigore, con attenzione verso le procedure; comportarsi con rigore professionale. Fare il cuoco è un mestiere artigiano e come tale richiede presenza e manualità, il rigore personale e professionale è richiesto per vivere fino in fondo questa professione. Pulizia, precisione, puntualità, efficienza, affidabilità sono requisiti indispensabili.

La ricetta è la regola che rende i nostri abbinamenti e le trasformazioni fisiche e chimiche che realizziamo, replicabili all’infinito nel tempo.

Pollock disse: la mia attività si imposta in base a un agevole dare e prendere, e il dipinto viene fuori bene. Anche dietro i tuoi piatti cerchi di far vincere l’armonia? Come stimoli il processo creativo dietro il tuo menu?

Il processo creativa è stimolato dall’ingrediente contestualizzato in un preciso momento, quindi in un preciso contesto spazio-temporale. La maggior parte delle volte è un flash che l’ingrediente scelto accende in mente. Seguono ragionamenti, supposizioni, prove pratiche per far si che l’idea diventi ricetta, ma l’ingrediente chiama da sé un’armonia intorno a sé che gli permette di essere condito quindi esaltato.

Mi citi 3 ristoranti/restaurant manager ai quali ti ispiri, o che comunque fungono da linea guida di eccellenza?

Prendere ispirazione… è forse una operazione complicata da portare a termine. Ognuno si trova in un contesto proprio e difficilmente le situazioni vincenti sono facilmente esportabili o replicabili. 

Ma se devo scegliere tra le realtà che conosco, ti direi di ammirare molto la storia del Celler de Can Roca a Girona, in cui tre fratelli hanno trasformato la trattoria per camionisti della propria famiglia nel miglior ristorante al mondo con tre stelle Michelin. 

Oppure, ti citerei la storia di Mauro Colagreco che, da semplice emigrato italo/argentino, è riuscito a realizzare un sogno: aprire il suo locale all’interno di una delle migliori location del mondo (abbarbicato sulle pendici della scogliera di Mentone) per poi trasformarlo nel miglior ristorante al mondo.

In ultimo Mauro Uliassi, perché ha dimostrato al mondo della gastronomia che anche un ristorante “normale” può raggiungere la vetta senza necessariamente disporre di un ambiente ovattato, distaccato, super lussuoso. Gli Uliassi ci sono riusciti, ed ora, un ottimo ristorante di pesce, ha raggiunto la perfezione senza mai abbandonare la sua identità.

Il sogno che non hai ancora raggiunto e la cosa della quale vai più fiero. 

Il sogno non ancora raggiunto… la seconda stella michelin. Ne ho prese per tre volte Una… La cosa di cui vado fiero è l’aver creato il ristorante Lunasia a mia immagine e averlo portato al successo. Certo, è un percorso non ancora finito, ma sono soddisfatto di ciò che abbiamo fatto fino ad oggi e sono ottimista (malgrado la battuta di arresto Covid) per il nostro futuro. Siamo sempre in crescita e questo è molto stimolante

Ti ricordi le emozioni provate nell’apprendere la notizia delle Stelle Michelin?

Le ricordo bene, per ogni ognuna delle tre volte. La prima: il ristorante era in provincia di Pisa, nel 2011, ero in cucina a lavorare… festeggiammo con una bottiglia di champagne e qualche cena con amici e colleghi.

La seconda: il ristorante era stato trasferito a Viareggio nel 2015, ero a lavoro e oltre al brindisi… nulla di che.

La terza volta, nel 2019,  si veniva da un periodo in cui il ristorante e l’hotel che lo ospita erano stati chiusi per quasi 2 anni. Non ce lo aspettavamo, ma è stato bellissimo in quanto mi ha telefonato direttamente il direttore della Michelin per comunicarmelo. Era sera, alla fine della telefonata iniziò il servizio della cena, il ristorante era al completo… insomma fu un bella serata in cui il cuore di tutti era leggero ed appagato.

Che consiglio daresti a chi, in questo momento, può lasciarsi prendere dallo sconforto e pensare di aver sbagliato tutto?

Ci sono momenti difficili per tutti, sono sempre dietro l’angolo. Che dire… di consigli giusti non ce ne sono mai. Costanza e continuità, queste due parole sono l’unico suggerimento che posso dare. Il monito invece è di considerare al centro il cliente. Il CLIENTE è quello che sancisce il nostro successo. Non siamo noi il fulcro ma la soddisfazione di chi sceglie di venire a trovarci.

Ultima domanda: se il piccolo Luca dovesse incontrare chef Landi cosa gli chiederebbe? E tu cosa gli risponderesti?

Il piccolo Luca chiederebbe allo chef Landi se si sente felice ed appagato. Lo chef Landi gli risponderebbe che sta lavorando per esserlo.

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