Quale sarà il futuro della ristorazione e del mondo vitivinicolo? Lo abbiamo chiesto a Davide Gangi

Quale sarà il futuro della ristorazione e del mondo vitivinicolo? Lo abbiamo chiesto a Davide Gangi

Il settore della ristorazione e del turismo sono forse quelli che più stanno soffrendo in Italia per il lockdown dovuto ai protocolli di difesa dal contagio da Covid-19. A distanza di un mese dal primo decreto del 9 marzo scorso, seguito da altri sempre più stringenti che hanno messo in stand by tutte le attività ricettive, facciamo il punto della situazione sul comparto. Abbiamo chiesto un parere sul futuro della ristorazione a Davide Gangi, sommelier, presidente dell’associazione culturale e di promozione Vinoway Italia, editore del magazine Vinoway.com.

La prima intervista sul futuro della ristorazione la faccio a te che sei tra i più attivi esponenti del mondo enogastronomico italiano. Secondo Davide Gangi quale sarà il futuro della ristorazione?

Giovanni, ti rispondo con schiettezza: è una situazione che non si risolverà così facilmente. Avverranno dei cambiamenti importanti nella ristorazione, anche dal punto di vista della logistica. Niente sarà più come prima: si eviteranno gli assembramenti di tavoli, che saranno ovviamente ridotti. E purtroppo si prevede anche che qualcuno sarà costretto ad abbassare le serrande e chiudere. Secondo delle stime che sono state portate avanti, infatti, se non vengono prese misure concrete, oltre il 35% dei ristoranti non sopravvivrà alla fine dell’anno.

Il 35% dei ristoranti? È una cifra considerevole! Significa che più di 40 mila attività commerciali chiuderanno, giusto?

Sì, siamo su quella cifra, più o meno. Mi riferisco alle attività ricettive: ristoratori, piccoli alberghi, piccoli locali. Sopravvivranno, a mio avviso, coloro che portano avanti una conduzione familiare, e questo ci fa capire come il mondo della ristorazione cambierà in maniera radicale. Si tornerà a quello che è l’interesse comune, per cui saranno favoriti quanti sapranno affidarsi di nuovo alla tradizione.

Gli chef più innovativi e sofisticati, alla stregua di Romito o Bottura, sono dunque a rischio?

Loro di certo no, ma per chi ha da pagare affitti importanti sarà molto difficile la riapertura. Sono tantissimi gli interessi in ballo, la questione è delicata e complessa.

Davide Gangi e il futuro della ristorazione

Cosa consiglieresti all’amico ristoratore che possiede un ristorante in provincia o nei piccoli centri?

Insisto sul concetto di cucina tradizionale. Dobbiamo tornare ad avere piatti non più da 70 grammi, ad esempio, ma investire su piatti più popolari, con una cucina che possa dare soddisfazione al cliente. Dal punto di vista dei prezzi, inoltre, questi ultimi dovrebbero essere abbassati: se andiamo a considerare la media di un ristorante stellato, siamo sui 60-70 euro a persona, cifre che molto probabilmente non saranno più spese per molto tempo in provincia per una cena in un ristorante. Insomma, si ritornerà indietro almeno di vent’anni.

A questo punto, unendo l’abbassamento dei prezzi e l’aumento delle porzioni con una riduzione dei tavoli per evitare assembramenti, dove sarà il margine di guadagno?

Qui c’è da fare una distinzione. La maggior parte dei ristoranti stellati lavora non soltanto con la ristorazione, perché in realtà i proprietari o coloro che ci lavorano fanno anche altro (consulenze, partecipazioni a programmi televisivi, pubblicità, etc.). Per tutti gli altri non è così. Ecco perché sottolineo l’importanza di rivedere il proprio business. Bisogna ritornare a fare cucina, a cucinare! Un altro aspetto da rivedere, a mio avviso, riguarda il numero di addetti. Per un ristorante stellato in media sono trenta, fra brigata e sala. E come sopravvivranno?

Parliamo invece del delivery? Cosa ne pensi di questo fenomeno?

Faccio i miei complimenti agli chef che hanno abbracciato queste iniziative, perché questo significa amare davvero il proprio lavoro, il proprio locale, e metterci passione in quello che si fa. Ho grande ammirazione e considerazione verso queste persone. Chi fa questo è un lavoratore intelligente, che tiene al proprio mestiere.

In un’intervista di Eleonora Cozzella allo chef stellato Christian Costardi apparsa il 2 aprile sul sito Repubblica.it, alla domanda sugli eventuali tagli alla ristorazione per far quadrare il bilancio, Costardi risponde “Più che tagli dovremmo trovare compromessi, ad esempio con il razionamento dei pagamenti ai fornitori”. Parlando poi nello specifico del mondo del vino, sempre Costardi sottolinea come occorra trovare soluzioni alternative, come avere il vino in conto vendita. Qual è la tua visione al riguardo?

Posso dire che questa cosa mi fa sorridere? Già, perché dobbiamo pensare che su ogni bottiglia di vino venduta, il ristorante mediamente fa un ricarico del 130%; puoi dedurre facilmente come guadagni di più il ristoratore che il viticoltore. Questo, ove si avesse la possibilità e la fortuna di essere pagato nei tempi previsti per legge (60 giorni n.d.r.), potrebbe anche andar bene. Il problema è che una buona parte dei ristoratori, se lo paga, il vino lo paga a 120 giorni o addirittura ad un anno dalla ricezione della merce! Questa cosa non va assolutamente bene!

In questo contesto, e tenendo conto di ciò che abbiamo appena detto, le piccole aziende vitivinicole che non lavorano con la grande distribuzione come potranno sopravvivere a questo periodo tremendo?

Io so di ristoratori che stanno svuotando le proprie cantine vendendo il vino con uno sconto del 50%. Quindi sarebbe più opportuno che il mondo della ristorazione, che ha la fortuna di vivere anche grazie al cash, con clienti che pagano in contanti, non chieda scontistica al settore dei vini ma al comparto food. Detto questo spero che non accada che le piccole aziende vitivinicole debbano essere costrette a chiudere. Un’idea per un piccolo imprenditore artigianale potrebbe essere quella di trovare delle piccole aziende, oppure lavorare con grandi professionisti dell’enologia. Ricordiamoci che stiamo parlando di 3 mila, 4 mila bottiglie, abbastanza facili da piazzare. Il mio consiglio è quello di riuscire a trovare un nuovo sistema di vendita, altri canali; così si potrebbe ovviare a questo problema. Il mondo del vino sa come uscirne, ne sono sicuro.

Con il tempo torneremo alla normalità?

Per tornare alla normalità assoluta credo che ci vorranno almeno un paio d’anni, e comunque certamente non sarà come prima, su questo concetto mi ripeto. Quando usciremo dalle nostre case troveremo senz’altro un mondo cambiato, sia sotto il profilo socio-culturale, sia sotto il profilo economico. Socio-culturale perché, non nascondiamoci dietro un dito, nei primi tempi le distanze le avvertiremo tutte ed avremo un po’ tutti lo spauracchio del poterci riabbracciare e del riavvicinarci gli uni con gli altri. Economico perché, almeno per un po’ dovremo fare affidamento su attività ristrette esclusivamente a quello che è il nostro territorio nazionale, soprattutto nel comparto del turismo. Anche se l’italiano per suo modus vivendi è un esterofilo, fino al 2021 dovrebbe, per come la vedo io, preferire il territorio nazionale per il suo tempo libero e gli svaghi (vacanze, cibo, permanenze turistiche e così via) e rivalutare di conseguenza il nostro cibo e il nostro vino.

Hai qualche iniziativa in cantiere in questo periodo?

Sì. Proprio in questi giorni sto lanciando un hashtag #iobevoitaliano, per ricordare a tutti quanto il nostro Paese sia importante in questo settore. A volte infatti dimentichiamo di avere a disposizione uno dei patrimoni vitivinicoli, agronomici ed alimentari migliori al mondo. La nostra cucina regionale, tradizionale, i nostri sapori e odori vanno senza dubbio riscoperti. Questo periodo rappresenta una grande occasione in tal senso. Io sfiderei tantissimi bravissimi chef “gourmet” a proporre un piatto tradizionale, come si faceva una volta: credo che molti l’abbiano dimenticato. Questo atteggiamento in verità andrebbe adottato sempre, non solo in tempi di crisi. Non a caso sulla mia pagina facebook insisto spesso sull’importanza della tradizione, anche attraverso il canale Vinoway. Putroppo devo constatare come in questi ultimi anni la cucina italiana sia andata indietro, e lo ha fatto proprio perché ha voluto puntare sull’effetto gourmet. Eppure si può fare della cucina gourmet con un occhio alle tradizioni, e ne sono testimonianza, in Italia, tantissimi ristoratori, bravissimi, che cucinano bene. Gli altri? Eh, vorrà dire che faranno altro. Dispiace ammetterlo, ma è così.

Quali i servizi e le sinergie che si potranno creare per aiutare il mondo della ristorazione?

Già in altre interviste ho sottolineato quanto potrebbe essere importante che due, tre, quattro grandi chef si unissero per preparare delle loro specialità, prelibatezze, e in una serata si potrebbe godere di quelle che sono le mani e l’intelligenza artistica e culinaria di questi chef. Ci si potrebbe dividere il lavoro con un primo piatto, un secondo piatto, un dolce, una entree, e in una sola volta dare la possibilità di assaggiare le loro specialità. Da soli ormai non si va più da nessuna parte. Lì potrebbe risiedere la carta vincente per uscire da questa impasse.

Insomma, sembra che davanti a noi ci sia un panorama oscuro!

La mia opinione è che permanga ancora troppo egocentrismo e protagonismo da parte dei singoli chef. Non si fa squadra, non c’è unione. Mi auguro che loro cambino rotta, perché soltanto così si potrà andare avanti. Nel mondo del vino c’è già più sinergia perché esistono le cooperative, i consorzi, quindi l’idea consorzile è più radicata, per unire gli intenti al fine di programmare nuove iniziative imprenditoriali. Nel mondo della ristorazione invece questo atteggiamento non lo vedo. Forse anche perché il settore abbiamo voluto farlo crescere così, l’abbiamo considerato qualcosa di quasi portentoso. L’atteggiamento che molti ristoratori hanno avuto nei giorni immediatamente successivi al primo decreto governativo di chiusura, ad esempio, io non l’ho approvato, in quanto sono state avanzate, a mio avviso, delle pretese assurde alla luce di un mese di chiusura. Oltretutto non c’è neanche concorrenza! Concludo lanciando un appello alla ristorazione italiana: che faccia in modo di rimettersi in gioco completamente, considerando che nulla sarà più come prima. Chi ha la consapevolezza di non potercela fare si muova verso delle collaborazioni. Faccia sinergia. La chiave è questa.

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