Il futuro della ristorazione post-Covid19: come ci cambierà il Coronavirus

Il futuro della ristorazione post-Covid19: come ci cambierà il Coronavirus

Cosa ci aspetta domani? Quale sarà il futuro della ristorazione post-Covid 19? E soprattutto: gli effetti collaterali dell’epidemia, condizioneranno il nuovo assetto sociale o si tornerà pian piano alla normalità? Lo chiediamo al direttore Marketing di Engenia Srl, Giovanni Mastropasqua, ideatore della guida enogastronomica Oraviaggiando.it.

Giovanni, quale sarà il futuro della ristorazione?

Premetto che non voglio aggiungermi alla lista dei guru con la palla di cristallo. Il futuro è incerto e le variabili sono davvero tante. I quattro macro temi da sottoporre alla lente d’ingrandimento sono le questioni politiche con i relativi rapporti tra Italia e Europa, i costi di gestione del ristorante, la durata dell’epidemia e la capacità di adattarsi alle nuove modalità di fruizione dei servizi ristorativi. Se non ci sarà immissione di liquidità sufficiente, i ristoratori proveranno a rivolgersi ai proprietari degli immobili chiedendo loro una rimodulazione dei canoni d’affitto. A dire il vero questa richiesta è stata già tentata dalla quasi totalità dei locatari, ma sembra che siano pochissimi i proprietari degli immobili a concedere sconti.

Con quale conseguenza?

Con la conseguenza che i locatori potrebbero perdere soldi e “inquilini”. Sono in corso trattative che finiscono puntualmente in un vicolo cieco. I proprietari degli immobili non hanno una mentalità imprenditoriale. Spesso il loro ragionamento “tipo” è “o mi dai quello che chiedo, oppure posso tranquillamente tenere sfitto il locale”. In molti non capiscono che andare incontro alle esigenze dei locatari è il miglior investimento a lungo termine.

Quanto inciderà la durata dell’epidemia sul futuro della ristorazione post Coronavirus?

Ho letto con grande interesse l’articolo – di cui mi hai parlato proprio tu, Alessia – relativo allo studio condotto dal noto epidemiologo dell’Imperial College Neil Ferguson, che dice sostanzialmente che per evitare il peggio, la soluzione più efficace potrebbe essere quella di proseguire con un isolamento collettivo fino a luglio. Poi interromperlo per un mese. Quindi riprenderlo per due mesi. Poi interromperlo per un altro mese. Poi riprenderlo di nuovo per due mesi. Una sorta “quarantena yo-yo”. Uno scenario verosimile che, però, mi auguro che non si avveri, perché questo ci “cambierebbe dentro” definitivamente. Io voglio essere fiducioso e voglio pensare che tutti i farmaci attualmente in commercio che si stanno rivelando utili per rendere il decorso della malattia gestibile da casa, ci permetta di approcciare il Covid 19 come una influenza ostica (ma non mortale) da curare a casa. In questo ultimo mese abbiamo letto di farmaci come l’Eparina, l’Avigan, l’Ivermectin o quello anti-artrite Tocilizumab. Tutti sembrano miracolosi ma poi non se ne sente più parlare.

A questo punto l’altra domanda potrebbe essere “torneremo mai alla normalità?”

Da quello che la storia racconta, l’essere umano può cambiare completamente le proprie abitudini solo con il perdurare dei cambiamenti del proprio habitat e della propria situazione sociale ed economica. Ultimamente va di moda utilizzare il termine «resilienza», l’attitudine di un corpo a riacquistare la propria forma iniziale dopo aver subito una deformazione. Se dovessimo riuscire a trovare soluzioni entro qualche mese, torneremo a vivere la vita di sempre. Se si dovesse mettere in atto la quarantena yo-yo, possiamo dimenticarci quello che siamo stati fino allo scorso gennaio.

Hai detto che la quarta grande variabile che giocherà un ruolo importante sul futuro della ristorazione post Covid 19 è la capacità dei ristoratori di adattarsi alle nuove modalità di fruizione. Cosa intendi dire?

Voglio solo separare in modo netto, due differenti modi di fare ristorazione con il preciso fine di fare considerazioni più puntuali e anche più sensate. Il proprietario del ristorante deve farsi questa domanda: sono un ristoratore o sono un imprenditore?

Esiste davvero questa differenza?

Si. Ho un ricordo che risale a circa 35 anni fa, ancora nitido, di come mio zio – ristoratore pugliese all’epoca conosciutissimo – gestiva il suo ristorante. Ricordo con piacere, e ancora oggi mi diverto a ricordarlo, come gestiva il suo ristorante. Il ristorante era casa sua. Se vedeva bambini correre per la sala, redarguiva i genitori sollecitandoli a tener buoni i loro figli; se notava famiglie con bambini piagnucoloni all’ingresso del locale, diceva che non c’era posto. Quel ristorante era casa sua e il modo in cui faceva ristorazione non era dettato dal “mercato” ma da ciò che piaceva a lui. Con il tempo la ristorazione è cambiata e per quanto si è assottigliata la differenza tra i due mondi, è comunque rimasta la divisione tra imprenditori della ristorazione e ristoratori. L’imprenditore è colui che si adatta al mercato con il fine di trarre sempre profitto. Il ristoratore è colui che vive degli elementi istintivi della ristorazione come la convivialità, il rapporto umano diretto, il sentirsi appartenente all’identità del locale stesso.

Perché questa differenziazione?

Perché così è più facile comprendere come potrà cambiare la ristorazione se dovesse perdurare per anni questa situazione contingente. Ti faccio un altro esempio e parliamo del delivery. Ho sentito in questi giorni molti amici ristoratori al telefono o in video conferenza. C’è chi si è immediatamente reinventato, attrezzandosi con il servizio di consegna a domicilio, c’è chi invece ha deciso di tenere abbassata la saracinesca aspettando di capire come si evolverà la faccenda “coronavirus”. L’imprenditore si adatta e, quello bravo, fa di un problema un’opportunità; il ristoratore aspetta di tornare alla normalità perché di cucinare per i propri clienti senza poterli vivere, proprio non gli va. L’imprenditore agisce, il ristoratore attende, magari prova anche con il delivery o con altre soluzioni, ma si augura di tornare presto alla normalità.

Solo le pizzerie sono chiaramente avvantaggiate perché già abituate al delivery

Esattamente. Discorso diverso, invece, lo si deve fare sui i ristoranti gourmet… qui la proposta dovrà subire dei cambiamenti per allinearli alle dinamiche della consegna a domicilio.

Cosa consiglia Giovanni Mastropasqua ai ristoratori e agli imprenditori della ristorazione?

Giovanni Mastropasqua consiglia di seguire le proprie pulsioni e le proprie attitudini. Se state pensando che sia giusto aspettare e ne avete possibilità, aspettate ancora un po’. Se vi sentite in grado di fare cambiamenti in risposta alle esigenze del mercato, provateci. Come ho già sottolineato prima, non tutti potranno giocare ad armi pari: c’è chi si sta facendo carico di costi di affitto esorbitanti. C’è chi ha mutui da pagare e chi è proprietario della struttura e può permettersi più mesi di attesa. Ci sono troppe variabili in gioco, pertanto ognuno dovrà fare le opportune valutazioni sulla base del proprio scenario economico con l’aiuto di un bravo commercialista.

In qualità di persona inserita nel mondo del marketing enogastronomico, hai comunque qualche idea da dare ai ristoratori in difficoltà?

Più che qualche idea, posso raccontare di qualche strategia che ho già visto adottare. Farina, una pizzeria gourmet di Pesaro, ad esempio, si è inventato il Kit della perfetta pizza da fare a casa. Il proprietario della pizzeria vende la base precotta della pizza e consegna a casa tutti gli ingredienti “ufficiali” per finirla in modo da essere consumata calda e fragrante: pomodoro, mozzarella e farciture vengono consegnate a parte e ricomposte a casa. Anche i ristoranti gourmet potrebbero studiarsi dei “kit” per ricostruire a casa il piatto “stellato”. Io preferirei più un kit del genere che non un piatto gourmet declinato alla triste fine del magic box.

I ristoranti e le trattorie di pesce dovrebbero puntare su fritture (che a casa nessuno si sogna di fare), spiedini e grigliate. Sui primi piatti ho qualche dubbio, ma se qualcuno riuscisse a trovare una formula per consegnare primi piatti preparati con cotture tarate in modo scientifico.

E la comunicazione come cambierà?

Consiglio di lavorare molto sui rapporti personali e sulla fiducia, cercando di assecondare le singole esigenze di ciascun cliente. Rimarranno indispensabili i social network. Se avessi un ristorante, comunicherei tutti i giorni il menù, proponendo il tutto a prezzi più democratici; mostrerei foto appetitose, raccontando storie vere e i momenti salienti della giornata lavorativa. Visto che ci aspetta una vita con meno contatti cinestesici, sarà ancora più importante stabilire rapporti mediatici per ridurre la sensazione di lontananza o di esclusione nei rapporti interpersonali o nelle dinamiche dei gruppi sociali.

Intervista a cura di Alessia Pellegrini

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