L’inciampo felice, Bottura a Identità Golose insegna come un errore diventa opportunità

L’inciampo felice, Bottura a Identità Golose insegna come un errore diventa opportunità

Tanto studio e tanto ragionamento, ma anche la capacità di titrar fuori l’estro, la curiosità, la voglia di sperimentare, anche dagli errori: è la filosofia dell’inciampo felice che Massimo Bottura ha portato quest’anno a Identità Golose 2018.  

Certo, l’inciampo felice non è una filosofia nuova dello chef visionario numero 1 al mondo: non c’è un addetto al settore che non abbia almeno una volta sentito parlare di “Oops! Mi è caduta la crostata al limone” un dessert che nascque grazie a un errore di un ragazzo della brigata, Takahiko Kondo, che fece cadere per sbaglio una fetta di crostata al limone. Bottura, affascinato da quella piccola esplosione, la volle riprodurre facendolo diventare il suo piatto simbolo dell’inciampo felice.

E’ Massimo Bottura che spiega meglio di tutti come si arriva a creare anche dall’errore: «Se non ti perdi nella quotidianità del tuo lavoro e mantieni la capacità di essere vigile e curioso, anche l’errore può diventare un’opportunità. La ricerca è anche inciampo felice».

Così, sul palco di Identità Golose, all’interno del padiglione dedicato a Identità di Pasta lo chef modenese, portando l’80% della sua brigata sul palco, ha voluto spiegare il pensiero felice del “caos creativo” che è alla base del lavoro dell’Osteria Francescana e degli altri suoi ristorantu, dalla Franceschetta al Refettorio che ora aprirà anche a Parigi.

Ognuno dei suoi collaboratori – tutti in tuta e sneakers d’ordinanza – prepara e racconta un piatto nato da un “inciampo” o dalla richiesta dello chef di ragionare sulla pasta, argomento del giorno che diventa anche occasione di parlare di – e far parlare il – fattore umano.

I protagonisti dell’inciampo felice – Identità di Pasta 2018

Pippo fa lo spaghetto del refettorio, nato dalla preparazione del pasto del personale recuperando gli scarti di un piatto in carta a base di sogliola: le uova, marinate col sake e messe sotto sale, vengono affumicate ed emulsionate diventando una salsa con il tocco umami delle croste di formaggio e della colatura d’alici e con le scorze di limone sbollentate, disidratate e ridotte in polvere.

Simone prepara la versione botturiana del borlengo – una sorta di crêpe sottile e croccante a base di acqua e farina servita con un battuto di lardo, aglio, rosmarino e formaggio grattugiato, tipico cibo povero modenese – nato dalla pasta fatta stracuocere per errore e resa croccante (frullata, disidratata e fritta) grazie allo scambio di idee con Davide.

Berno, romano – ma «con una mentalità aperta e il dono dell’umiltà» dice lo chef – prepara l’Amatriciana a Modenamutuata dal menu della Franceschetta: «Tra le cose più importanti che ho imparato lavorando con Massimo c’è quella di essere sempre aperti alla contaminazione, di saper viaggiare con gli occhi aperti arricchendo i piatti con ingredienti di nuovi territori. Così ho pensato di contestualizzare l’amatriciana a Modena». I tonnarelli, “dimenticati” nel sugo, vengono in parte frullati e diventano una specie di crema servita con il tocco croccante dato dal guanciale e dai restanti tonnarelli essiccati e fritti. Ma anche con elementi “local”: l’Aceto Balsamico Tradizionale con cui vengono cotte lentamente le cipolle (alla maniera di Angelo Troiani, con cui ha lavorato Berno) e nella mantecatura con parmigiano. L’importante, sottolinea Bottura, «è saper guardare anche alle proprie origini in chiave critica e non nostalgica».

Ancora spazio alla contaminazione nei piatti proposti dai collaboratori stranieri, fonte di entropia e ispirazione. «Quando chiedi a un giapponese o a una canadese di esprimersi sulla pasta devi essere pronto all’inaspettato».

Da Jessica, canadese, viene l’idea degli Spaghetti e meatballs che riprende l’idea alla base di Autumn a New York, piatto della Francescana nato da una passeggiata al mercato di Union Square come racconta Bottura: «Ho voluto rappresentare in un piatto la stagionalità e il luogo dove mi trovavo in quel momento. È una sorta di contenitore che evolve per esprimere stagioni e luoghi diversi». In questo caso il tipico piatto degli italo-americani, fatto da ognuno a modo suo visto che non esiste una ricetta “originaria”.

Taka, giapponese, prepara la zuppa di ossa di cacciagione che s’ispira al ricordo della cucina nella nonna ma anche ai viaggi in Tailandia. Ne nasce un brodo intenso che ricorda una tom thai grazie all’aggiunta dell’acidità data da limone e lime spremuti al momento, servito ben caldo – un gesto di benvenuto che riporta il fattore umano al centro del ristorante – con la pasta a forma di lettere fatta appositamente per loro dal Pastificio Felicetti.

Infine il dessert, frutto dell’interpretazione della pasta da parte di Robin, pastry-chef francese. Una pasta dolce ma che parte dalla sua impronta di scuola classica, facendo una galletta croccante – nata sempre dall’inciampo creativo di cui sopra – di pasta stracotta nello zafferano e trasformata in millefoglie, farcito da crema di vaniglia, caramello salato e arancia e gel di limone. «Questa è la squadra, questa è la realtà – conclude Bottura dopo aver impiattato e imboccato il pubblico in attesa di un assaggio – il resto sono solo chiacchiere».

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