A cena con Alessandro Scorsone

A cena con Alessandro Scorsone

Alessandro Scorsone, trionfatore nella categoria Maitre e Sommelier, e Sandro Romano, terzo classificato nella categoria Opinion leader del Sondaggio di Italia a Tavola sul Personaggio Enogastronomico dell’anno, si sono incontrati a Roma e cenato insieme in un ristorante di Porta Portese. Tra piatti straordinari e vini eccellenti hanno scambiato opinioni sul mondo enoico e, più in generale, sulla gastronomia.
 
Qualche giorno fa, a Roma, ho incontrato Alessandro Scorsone, fresco vincitore del sondaggio di Italia a Tavola sul personaggio dell’enogastronomia nella categoria Maitre e Sommelier. Una serata piacevole passata, presso il ristorante Brò di Porta Portese, in compagnia di un amico e grande professionista, gustando piatti di ottima fattura preparati, con ingredienti di qualità e cura dei particolari, dallo chef Emanuele Maggio. A tavola, pasteggiando con un eccezionale Franciacorta, il Derbusco Cives (scelto da lui, ovviamente), si è parlato di noi, della cucina pugliese, del vino, di abbinamenti, di produttori, di emozioni. Vi racconto come è andata.

S.R.: Alessandro, è la prima volta che ci capita di stare un po’ di tempo insieme e, secondo me, stando a tavola è sempre il modo migliore per conoscersi bene. Raccontami di te.
A.S.: Eh, ci vorrebbe forse troppo tempo o forse troppo poco, che dici? Ho iniziato il mio percorso grazie al mio lavoro primario. Come ben sai, sono maestro di cerimonie istituzionale e quando, a un certo punto, mi sono accorto che mi mancava una parte, quella della specificità del cibo e del vino, di buona lena mi sono messo a studiare, ho fatto il corso da sommelier e poi un master. Man mano che andavo avanti la passione mi prendeva sempre di più, tanto che ne ho fatto una ragione di vita al punto tale che, se non condivido cibo e vino, sembra quasi che manchi qualcosa. E, non dimentichiamolo mai, tramite il cibo e il vino impari pure la geografia, il che non è poco.
S.R.: Intanto è arrivato questo sontuoso antipasto: salmone marinato con arancia, carpaccio di orata con zucchine profumate alla menta, sgombro marinato con aceto di lampone e cipolla rossa su letto di miglio, pomodorino e basilico, gambero in salsa di guacamole, alici con patate e crema di olive. Un bel piatto Alessandro, che dici?
A.S.: Mica male! E, rivolgendosi al cameriere:” Il mio amico è qui per testare la cucina”
S.R.: Ma no, è una piacevole serata tra amici, non giudichiamo nessuno. Sai Alessandro, queste zucchine alla menta da noi si chiamano “alla poverella”, si tagliano a rondelle, si fanno appassire un po’ e poi si friggono, profumandole con aceto e menta. Sì, sono proprio le zucchine alla poverella come gusto. Buone. Ma, torniamo a noi, dimmi un tuo pensiero su quello che, una volta, veniva chiamato vino del contadino. Con la moderna tecnologia ha ancora un senso?
A.S.: Guarda, ne stavo parlando proprio prima di incontrarci. Ora stanno andando di moda i vini naturali, quindi qualcuno ci sta provando a convincerci del fatto che i vini del contadino di una volta sono buoni. Prima non andavano bene, ora vanno di moda. Premesso che alcuni li fanno veramente bene, con queste fermentazioni spontanee…
S.R.: Trovi importante il progetto che l’Onav sta portando avanti sull’insegnamento del bere consapevole ai giovani, quello che viene chiamato Progetto ONAV Junior?
A.S.: Sulla consapevolezza del bere sicuramente. Perchè la consapevolezza fa sì che tu possa scegliere in maniera mirata. Poi sarebbe importante portare tutti quanti a capire che non è la quantità che ci fa belli e “fighi”, ma la scelta qualitativa. Però, alla fine, diventa demagogia perché se ne parla talmente tanto del bere bene, bere poco, bere con parsimonia. Io poi odio il termine “qualità-prezzo”. Sono nemico giurato del “qualità-prezzo”, io sono favorevole al ”prezzo-qualità”. Apparentemente è la stessa cosa, ma cambia completamente il panorama. Io parto sempre dal presupposto che scelgo la qualità e, se la scelgo, devo mirare alla qualità. Se ci pensi, un buon rapporto qualità-prezzo è un vino che costa poco, ma se chiedi un vino che abbia prezzo-qualità è un vino buono. C’è poco da fare, dipende sempre da come la vuoi impostare.
S.R.: Secondo te qual è la cifra minima da spendere per un buon vino?
A.S.: Allora, su questo tema dovremmo aprire una serena conversazione. Anzitutto qual’è il nostro panorama di conoscenza del vino, siamo mediamente eruditi? Perfetto! Da mediamente eruditi ti posso dire che a volte trovi delle belle bottiglie intorno ai 6/7 euro. Io ne cito sempre uno su tutti, il Grechetto di Civitella Poggio della Costa, un vino dal prezzo, a scaffale, mi pare, di euro 7,80. Ogni anno è premiato dalle guide, ma non per rapporto prezzo-qualità, bensì oggettivamente nella sua tipologia. Anche Negro è un produttore meraviglioso, sono andato a trovarlo, è un ragazzo giovanissimo appartenente a una famiglia di viticoltori da sempre. Pensa che sono stati i primi a fare il Roero Arneis secco, nel 1971. Io mi tolgo tanto di cappello di fronte a chi ha legato un vino, una storia, una tradizione, al territorio. Stiamo parlando di vini accessibili a tutti. Non è che voglio farmi paladino del rapporto prezzo-qualità, ma mi piacerebbe aiutare la conoscenza dei vari prodotti e dei vari produttori anche attraverso quella che è un po’ la storia del vino. Andare a capire perché questi nel 1971 hanno fatto il Roero secco, prima lo facevano dolce. Poi, sai, tutto è confutabile perché, non dimentichiamolo mai, quello che è importante è il gusto della gente e, quando la gente sceglie, pensa solo se un vino piace o non piace. Sandro,(in romanesco) ma che ssè deve dì di un vino! E’ bono, non è bono, mi piace o non mi piace e c’hanno raggione loro! Ma come fai ad andare a dire che non è vero! Hanno proprio ragione loro!
S.R.: Io sono un pugliese innamorato della mia terra e sono curioso di conoscere il tuo pensiero sull’evoluzione dei vini pugliesi negli ultimi anni.
A.S.: Sono stati per me una grandissima sorpresa. Potrei citare il Negramaro, ma sembra che andiamo a seguire una sorta di moda. La verità è che il Negramaro è un gran prodotto, così come lo è il Primitivo di Manduria. Io ricordo un primitivo di Manduria di una vigna di 60 anni di Feudi di San Marzano, un prodotto stratosferico. Ma un vino che mi ha lasciato il segno è stato un primitivo dolce che ho trovato straordinario.
S.R.: Quale hai assaggiato? Attanasio?
A.S.: Attanasio, sì. Davvero bravissimi, un vino fantastico. Penso che questi vini pugliesi abbiano raggiunto una maturità tale che oggi possano andare avanti da soli, hanno investito tanto in comunicazione poi, sono sincero, l’assessore Stefàno è uno che mi piace tantissimo, si dà da fare moltissimo. Il padiglione Puglia anche lo scorso anno, come il precedente, ha avuto un bellissimo movimento di pubblico.
S.R: Sì, è vero, al Vinitaly è stato fatto un bel lavoro lo scorso anno.
A.S.: Produttori molto seri, belle persone che vogliono raccontarti la loro storia, fatta di terra, di contadini.
S.R.: Facciamo un piccolo gioco. Cucina pugliese in tre piatti e tre abbinamenti proposti da Alessandro Scorsone. E sappi che, quando li cucinerò, proverò a berci sopra i vini da te consigliati. Iniziamo dal fantastico purè di fave e cicorie selvatiche. Che mi fai bere?
A.S.: Purè di fave e cicorie, su quelle sensazioni vegetali…vediamo. Non posso nasconderti che io sono un malato di bollicine e c’è stato un prodotto che, negli ultimi anni, mi ha dato grandi soddisfazioni. Io sono impazzito per D’Araprì, un vino da tutto pasto, davvero ben fatto. Tu dimmi quello che vuoi ma, secondo me e come dicono gli stessi francesi, è il migliore metodo classico italiano.
S.R.: Un giudizio che mi riempie di orgoglio tutto pugliese. Quindi abbiniamo Puglia su Puglia?
A.S.: Sì, Puglia su Puglia
S.R.: Passiamo alle orecchiette e cime di rape. Cosa beviamo?
A.S.: Guarda, io amo unire l’Italia anche attraverso quelli che sono gli abbinamenti extra regionali. Sulle orecchiette non vorrei andare sempre sui soliti Sauvignon. C’è un bianco pugliese che mi piace molto, ma ora mi sfugge il nome.
S.R.: Il minutolo?
A.S.: Il minutolo, bravissimo!
S.R.: Ci abbiniamo un Fiano minutolo allora?
A.S.: Sì, Fiano minutolo Vetrère. Ti voglio dire una cosa sulla volta in cui assaggiai per la prima volta, alla cieca, il Fiano minutolo. Lo sai che aveva dei sentori di Riesling e di Sauvignon non italiano, ma dei Sauvignon di Sancerre? E quando mi dissero che era un Fiano minutolo rimasi folgorato.
S.R.: Addirittura, perchè mai?
A.S.: Per un motivo molto semplice. Ma chi l’aveva mai sentito un Fiano minutolo? E’ stata per me una vera scoperta.
S.R.: Ma la Puglia non è una regione di grandi vini bianchi.
A.S.: Perché qualcuno ha voluto giocare un po’ troppo con questi Chardonnay con i quali è tutto facile. Metti lo Chardonnay, metti il Sauvignon e stai a posto così.
S.R.: Ultimo piatto: tiella di patate riso e cozze.
A.S.: Madooonna, che bontà! Anzi, come dite voi, in dialetto barese, “rise, patàne e scarciòffole au furne?”
S.R.: Ma no! Si dice “tièdde de rise, patàne e cozze”. Quelli che chiami simpaticamente “scarciòffole” sono i carciofi che, in dialetto, si chiamano “scarciòffe”.
A.S.: Su questo piatto chi ci vieta di assaggiare un bel vino rosso pugliese?
S.R.: Nooo, te lo vieto io! Andresti con un rosso?
A.S.: Ma certamente! Dimmi perché no!
S.R.: Dai, non ti dico di no! Ma io ci metterei un rosato del Salento.
A.S.: Certo, va bene. Ma mettere un rosato mi sembra quasi una banalità, tutti quanti userebbero un rosato. Io sono per i rossi perché, altrimenti, è sempre lo stesso discorso, rosso su carne. Ma se abbiamo la cucina di pesce perché non utilizzare un buon rosso? Abbassa la temperatura!
S.R.: Capisco, ma io su queste cose sono un po’ tradizionalista…
A.S.: Vedi, dobbiamo rompere lo schema Sandro, prova ad abbassare di temperatura un bel vino rosso pugliese, anche un Negramaro. Una delle cose che io maggiormente apprezzo, soprattutto quando si fa comunicazione al tavolo, è quando si riesce a proporre un vino rosso anche d’estate. Questa è una cosa per la quale mi sono sempre battuto. Sono sempre stato al fianco dei produttori pugliesi – tu lo sai bene – e potrai chiedere conferma a tutti. lo a tutti ho detto sempre la stessa cosa:” Non abbiate paura, durante l’estate, di dare consigli ai vostri clienti nell’abbassare la temperatura di servizio”. Perchè d’estate, in una terra calda bagnata dal mare come la Puglia, prova a servire un vino rosso a 14 gradi. Ti dà i profumi, ti dà piacevolezza gustativa e, stanne certo, ti finisci la bottiglia.
S.R.: Ok, proviamo a rompere lo schema. Quindi serviresti a 14 gradi anche un massiccio Primitivo?
A.S.: Mah, senti, io li servirei tutti a 14 gradi e sai perché? Perché il vino lo devi saper attendere, non deve dissetarti, ti deve regalare delle emozioni.
S.R.: Vogliamo parlare delle emozioni che mi dà questo primo piatto di pasta ripiena di ricotta e scorza di limone con pomodorini e gallinella, una vera armonia di profumi e di sapori? Io in cucina amo i contrasti di consistenze, di profumi, di sapori, senza esagerare.
A.S.: Io sono un nemico di aglio e cipolla. Secondo me aglio e cipolla sono due elementi che rovinano il piatto e alterano la relazione sociale. Tu fammi sentire il sapore del piatto, non farmi sentire l’aglio.
S.R.: Quindi anche i soffritti senza aglio e senza cipolla?
A.S.: Per me se ne può fare tranquillamente a meno. L’altra sera eravamo casualmente a casa, cosa che non ci capita mai, mentre puntualmente ci capita di non avere nulla in frigo. Allora prendo due pizze margherite nella pizzeria sotto casa. Tu immagina che, su due pizze margherite, fatte nello stesso momento, una sapeva d’aglio l’altra no. Indovina a chi è andata a finire quella che sapeva d’aglio?
S.R.: Ovvio, a te!
A.S.: Mi sono inquietato, perché a me dà particolarmente fastidio, mi dà una specie di allergia.
S.R.: Io ho lo stesso problema con il formaggio quando prevarica i sapori.
A.S.: In alcuni piatti diventa predominante e non va bene, se però tu riesci  a dosarlo nel modo giusto…
S.R.: Il problema è che non tutti lo sanno dosare nella maniera giusta. In un riso patate e cozze il pecorino lo devi mettere, ma non deve coprire il sapore della patata, della cozza, del mare. Così come non amo gli eccessi di peperoncino. Va bene, ma deve essere ben dosato, altrimenti copre tutto. A meno che non si tratti di penne all’arrabbiata…
A.S.: Sandro, ma tu cucini?
S.R.: Sì, io sono uno che cucina, anche…
A.S.: Ah io pure! Però non cucino mai perché non ci sono mai.
S.R.: Vieni a trovarmi a Bari e ti faccio assaggiare la mia cucina. E ti prometto che eviterò di mettere aglio e cipolla, ok?
A.S.:  Ok, allora adesso sono io che faccio una domanda al professionista. Secondo te quando la cucina si può considerare di alto livello?
S.R.: Anche in questo caso l’argomento è ampio, ma si sintetizza in un unico grande concetto, quello del trasmettere emozioni. Quando dentro un piatto si ritrova, oltre alla competenza e alla conoscenza, anche la passione. E’ quella che, per me, fa la differenza. Sono le persone con la passione che, secondo me, cambiano il mondo della ristorazione, perchè non è solo quello che mangi né quello che bevi, ma è quello che mi trasmetti. E può succedere in posti di alto livello ma anche nella piccola osteria. Sei d’accordo?
A.S.: D’accordissimo Sandro! Io, per esempio, mi emoziono tutte le volte che, a Parigi, vado in un posto dove il sommelier non mi porta la carta dei vini. Va in cantina e torna con un cesto pieno di un po’ di bottiglie. “Questi li ho scelti per lei” mi dice. E mi sento a casa.

A cena con Alessandro Scorsone